DESIDERIO, ORGANIZZAZIONE E CONFLITTO MIGRANTI UE NELLA METROPOLI BERLINESE

da: Zapruder – Io sto bene, io sto male (n.38/2015,p.144)

copertina_1-4-300x205Dallo scoppio della crisi dell’euro nel 2008, in Germania si è verificato un deciso aumento dell’immigrazione da Spagna, Grecia,Portogallo e Italia. Perciò, nel marzo del 2014, il ministero federale per i Movimenti migratori e per i rifugiati (Bamf) ha commissionato l’Analisi a lungo termine dei nuovi movimenti migratori a scopo lavorativo (Lana). Nell’ambito di questa è possibile rintracciare il soggetto sociale a cui ci riferiamo quando parliamo di migranti a Berlino. Scegliamo Berlino come focus, rispetto all’intera Germania, perché la capitale tedesca ha subito l’immigrazione in modo percentualmente superiore rispetto ad altre città tedesche e perché è il luogo del maggior numero di sperimentazioni politiche di autorganizzazione dei migranti. Ci focalizzeremo in particolare sulle recenti ondate più signifi cative dal punto di vista quantitativo: spagnoli e italiani.

Nella ricerca si legge come tra gli spagnoli intervistati il 76,3% ha conseguito il titolo universitario. Gli altri, esclusa una piccola percentuale, si dividono tra studenti e chi ha concluso una formazione professionale. Il campione italiano, invece, risulta più eterogeneo: il 55,8% è in possesso di un titolo di studio universitario, mentre i restanti si dividono più o meno equamente nelle altre categorie.
L’analisi mostra come le cause che spingono gli spagnoli e gli italiani ad emigrare verso la Germania siano primariamente di tipo politico, sociale e culturale e secondariamente di tipo strettamente economico. Gli italiani intervistati hanno evidenziato come incisiva sia anche la possibilità di eff ettuare un’esperienza formativa all’estero. Tra le maggiori sfi de che questi migranti devono aff rontare spiccano in entrambi i casi la ricerca del lavoro, della casa e i contatti con i tedeschi. Tutte le altre principali problematicità a cui devono far fronte sono di
tipo sociale e culturale. Il diffi coltoso apprendimento della lingua è percepito costantemente come una barriera, che produce sentimenti di frustrazione per i limiti conseguenti nella vita quotidiana, nel superare le diff erenze culturali e nella creazione di reti sociali, fattori che tendono probabilmente ad acuire la rilevanza di elementi di diffi coltà quali la distanza dalla famiglia o dagli amici rimasti nel paese di origine, ma anche la spinta a rifugiarsi nella dimensione “comunitaria”.
Una seconda premessa ci sembra opportuna: gli strumenti di valutazione quantitativa del fenomeno della “nuova immigrazione” risultano inadeguati. Basterebbe per esempio citare tre diverse fonti sul numero di italiani presenti a Berlino: l’ambasciata italiana, il Bamf e l’Uffi cio federale di statistica (Statistisches

Bundesamt). La prima sottostima il dato degli italiani residenti perché registra

esclusivamente coloro che rinunciano alla

residenza in Italia (e alla copertura sanitaria

a essa connessa) e decidono di prendere

residenza a Berlino (circa 20.000); il Bamf

riceve informazioni rispetto al numero di

italiani presenti a Berlino (e più in generale

in Germania) solo quando questi superano

un test abilitante di lingua oppure richiedono

una prestazione del welfare tedesco

o iniziano a versare dei contributi; sicuramente

quindi un numero superiore a quello

dell’ambasciata, ma anch’esso sicuramente

sottostimato (circa 78.000 italiani). Infi ne

l’Uffi cio federale di statistica che periodicamente

aggiorna i dati degli Anmeldung

(cioè le domiciliazioni) e quindi si avvicina

di più alla realtà; unico problema rispetto a

questo dato è che risulta aggiornato a prima

del recente aumento del trend di immigrazione,

cioè al 2012; ma proiettandolo sugli

ultimi tre anni potremmo trovarci di fronte a un numero che supera di molto le

100.000 unità, avvicinandosi alle 150.000. Considerando che la comunità storica

italiana in tutta la Germania si aggirava intorno al mezzo milione di persone,

il fenomeno appare in tutta la sua enormità. Tutti i dati comunque confermano

come con l’ultima “ondata migratoria” la comunità italiana ha superato per

numeri assoluti quella polacca ed è la seconda comunità migrante in Germania.

La comunità spagnola, per mantenere il quadro comparativo, è passata dalle

112.000 unità alle 230.000.

Partendo da queste due fondamentali considerazioni, è importante individuare,

sebbene sommariamente, un archetipo del “migrante oggi” a Berlino. Questo

risulta essere una sintesi complicata tra tre diverse fi gure che hanno caratterizzato

l’immigrazione “storica”.

Al Gaestarbeiter in cerca esclusivamente di lavoro si sostituisce il migrante per

ragioni economiche legate al miglioramento della qualità del proprio lavoro; il

concetto di rifugiato politico da guerra fredda cambia radicalmente con una

generazione migrante insoddisfatta del contesto politico e democratico dei paesi

Ue da cui parte (ed è importante notare come questo è un fattore persino più

signifi cativo della componente economica). Infi ne il migrante mira a un complessivo

miglioramento della qualità della propria vita, a realizzarsi e a qualifi –

care le proprie relazioni.

In generale possiamo concludere che, sebbene questo nuovo fl usso migratorio

avvenga all’indomani della crisi economica dell’euro, viene rinvigorito dalle

situazioni critiche dei migranti coinvolti e della compagine europea nel suo

complesso: una ondata di crisi non solo economiche, ma di prospettiva, crisi

sociali, crisi politiche.

FORME DI AUTORGANIZZAZIONE, COOPERAZIONE, MUTUALISMO

A Berlino sono diff usi Sozial Beratung (Sportelli di assistenza) gratuiti. In

molti casi i privati cittadini riescono a trovare assistenti ed avvocati che

seguono le loro istanze o fanno del vero e proprio orientamento. Spesso

è questa la prima forma di assistenza a cui un migrante si rivolge; esistono sportelli

generici o specifi ci, per esempio rispetto alla casa, in difesa degli inquilini,

o di assistenza alla maternità ecc. Questi sportelli svolgono la funzione fondamentale

di orientare il migrante all’interno della complessità del welfare, del

fi sco e della burocrazia tedesca.

Non può sorprendere che con l’aumentare del fl usso verso la metropoli tedesca

siano spontaneamente nati anche Sozial Beratung in lingua, sportelli informativi,

di tutela legale, completamente gratuiti. I Sozial Beratung possono essere

riconosciuti, cioè registrati e in tal caso si fi nanziano attraverso i patrocini dei

ricorsi che svolgono, o non riconosciuti, e quindi volontari e autofi nanziati in

alcuni casi militanti.

È questo l’esempio dell’assistenza in spagnolo di Ofi cina Precaria, uno sportello

informativo in catalano. Questo sportello nasce sulla scia del 15M; si richiama

direttamente al movimento degli indignados spagnoli del 2011 che a Berlino coinvolge

i migranti spagnoli, quasi una “sezione estera” di un movimento e diventa

subito un punto di riferimento per la comunità spagnola per rispondere a molti

problemi. Con l’aumento della domanda di assistenza infatti, e nella diffi coltà

di trovare Sozial Beratung in lingua, sono comparse off erte di assistenza molto

costose (in alcuni casi una “pratica completa” per ottenere l’Algii dal Job Center

arriva a essere “valutata” 500 euro, in un normale Sozial Beratung è assolutamente

gratuita). Ofi cina Precaria ha tamponato questo fenomeno che nella

comunità spagnola, per esempio, si stava trasformando in un odioso business. A

questo si è aggiunta l’esigenza di rispondere al “panico” causato in brevissimo

tempo dalla legge sulla Sanità del governo Rajoy che nega la copertura sanitaria

a tutti gli spagnoli all’estero di età superiore ai 25 anni (con conseguente obbligo

di dover pagare una Krankenkasse tedesca di circa 150 euro al mese). Il Sozial

Beratung col tempo è diventato quindi un riconosciuto strumento di tutela.

Il collettivo Basta! e il Sozial Beratung che si tiene nell’Hause Projekt (vecchio

palazzo occupato e successivamente legalizzato) dello Scherer 8 nel quartiere

popolare di Wedding è un altro caso interessante. Il collettivo di iniziativa contro

la disoccupazione Basta! è nato per contestare la riorganizzazione dei servizi

sociali Hartz IV circa dieci anni fa. In dieci anni lo sportello settimanale è rimasto

uno dei pochissimi sportelli militanti gratuiti, in un contesto dove si registrava

reticenza da parte di moltissimi collettivi berlinesi a parlare della propria

azione sociale come espressione di forme di “supporto” e “mutualismo” vistesclusivamente come un’“ dieci anni Basta! ha dovuto necessariamente ripiegare sull’azione di “sportello

di supporto” territoriale a Wedding. Negli ultimi tre anni tuttavia il numero di

migranti ha costretto il collettivo a raddoppiare i giorni di assistenza, in seguito

ad aggiungere castigliano, catalano, inglese e greco alle lingue dello sportello,

infi ne a triplicare i giorni settimanali di iniziativa con un giorno ad hoc solo in

lingua italiana (a cui si è aggiunta, ultima arrivata, quella rumena). In così poco

tempo l’esperienza di Basta! è passata da un’iniziativa territoriale a una fondamentale

azione sul larghissimo corpo sociale migrante. Questo permette loro di

poter agire anche forme di pressione e confl itto politico contro il sistema Hartz

IV esattamente come dieci anni fa, quando la riforma Hartz è entrata in vigore.

Quindi la capacità di dare risposta alla nuova domanda migrante ha signifi cato

evidentemente il poter ricominciare ad aprire un dibattito politico e pubblico

sul workfare tedesco non più sulla difensiva.

Un’importante peculiarità del sistema economico tedesco è il ruolo che viene

dato al sindacato. La cogestione (Mitbestimmung) nelle relazioni industriali è l’elemento

“storico” e di natura macroscopica; ma in realtà risulta importante per

leggere in modo critico i fenomeni metropolitani e migranti e altri aspetti del

lavoro precario e parcellizzato.

A Berlino un lavoratore infatti può costruire una vertenza contro un datore di

lavoro esclusivamente attraverso il proprio sindacato. Gli stessi sindacati possono

intervenire su un posto di lavoro solo qualora un lavoratore sia iscritto

alla loro organizzazione. A questo si aggiungono moltissime leggi che rendono

spuntate le armi del singolo lavoratore: si va dalla corresponsabilità penale lavoratore/

datore di lavoro sul lavoro nero, a leggi durissime sulle pratiche di boicottaggio

e sulla diff amazione di un’azienda. Questo non ha impedito ad alcuni

lavoratori migranti di costruire vertenze sui propri posti di lavoro. È accaduto

infatti che un piccolo sindacato come il Fau (Freie Arbeiterinnen – Arbeiter

Union), che si richiama alla tradizione anarcosindacalista, dal 2012 al 2015 ha

triplicato le iscrizioni alla sezione berlinese passando da poche decine a diverse

centinaia. Lo ha fatto perché ha deciso di dotarsi di una “sezione stranieri”

autonoma e intercategoriale.

La “sezione stranieri” del Fau si è trasformata così in una vera e propria agorà

di approcci diff erenti alla lotta sindacale (dai militanti dell’Iww nordamericani,

alle esperienze di anarcosindacalismo scandinavo fi no alla componente greca e

catalana). Il numero dei militanti e questa varietà nell’approcciare il confl itto sul

lavoro sono riusciti a essere vincenti in diverse vertenze.

Altro esempio in questo senso, sempre sorto dall’esperienza del 15M spagnolo,

riguarda il Grupo de Acion Sindical (Gas). Un’esperienza di sindacalismo dal

basso per i migranti di lingua catalana molto attiva sui settori economici che

più coinvolgono per esempio la comunità spagnola. Il Gas in meno di un anno

dalla sua fondazione, grazie a pratiche meno macchinose e formali rispetto a un

sindacato “classico” ma anche grazie al supporto del sindacato tedesco dei servizi

Ver.di (il più rappresentativo sindacato tedesco dei servizi e del terziario), è149

riuscito a vincere una battaglia storica nel settore dell’assistenza agli anziani e

dei “servizi all’immigrazione”. In modo pubblico e mediatico è riuscito a ottenere

una vittoria contro un’azienda spagnola che si occupava di “servizi all’immigrazione”.

Una società spagnola prometteva per la spropositata cifra di 3.000

euro annui ai migranti spagnoli corsi di tedesco e di abilitazione al servizio di

assistenza agli anziani. La stessa società tuttavia poneva come penale rescissoria

del contratto annuale (qualora cioè si fosse deciso di tornare in Spagna e non

continuare i corsi) una cifra vicina ai 12.000 euro.

I corsi che l’azienda spagnola si faceva pagare in realtà erano corsi già pagati

e garantiti gratuitamente dallo stato per qualunque cittadino UE. La diffi coltà

nel trovare casa, lavoro o vivere a Berlino costringeva alcuni migranti a tornare

in Spagna permettendo all’azienda di intascare anche la penale rescissoria.

La costruzione però di una vertenza collettiva di tipo sindacale da parte dei

migranti spagnoli interessati, il supporto tecnico e l’attenzione mediatica ha fatto

vincere una causa per cui i migranti sono stati risarciti e l’azienda è stata

dichiarata fuori legge in Germania.

Questi due esempi rendono evidente come le comunità migranti a Berlino riescano

a rispondere a un bisogno di difesa in modo collettivo utilizzando in

modo sempre più importante sia forme sindacali “tradizionali” che nuove forme

di “sindacalizzazione orizzontale”.

Ulteriore forma di connessione tra migranti nella metropoli è l’utilizzo strumentale

e in qualche modo improprio di alcuni social network, di “nuovi” media o

di spazi fi sici. Tutte le comunità di migranti Ue hanno una pagina Facebook

di riferimento con diverse migliaia di iscritti. Questo fenomeno è osservabile

anche a Londra, Parigi, Bruxelles. Se ci limitassimo solo agli italiani su Facebook

troveremmo per ogni capitale europea diverse pagine dal titolo “Forum: Italiani

a Berlino” o ancora “ItaliansOnLineBerlin” e così via. Per la maggior parte dei

casi questi forum sono l’unico luogo, sebbene virtuale, dove confrontare problemi

e desideri comuni, dove rifuggire la solitudine o trovare soluzioni possibili

o off erte di lavoro. In molti casi le discussioni riproducono diff erenze di visione

politica anche rispetto al concetto stesso di immigrazione; altre volte rendono

evidenti le diffi coltà nell’integrarsi o capire Berlino. Il ruolo di questi Forum

non può essere sottovalutato e svolgono un ruolo molto importante anche nella

soggettivazione politica delle comunità. Ulteriore elemento interessante è la

trasformazione da forum “migranti” verso forum sempre più specifi ci, magari

anche con un taglio più politico (da un forum di migranti italiani a Berlino sono

nati gruppi di autodifesa femminile, forum sul lavoro, ecc.).

Anche l’individuazione nella metropoli di spazi fi sici gioca un ruolo centrale.

L’immigrazione storica turca nei quartieri dove hanno maggior insediamento

shisha bar o locali politici, cafè o sporting club. Questo sta progressivamente

accadendo anche per i migranti Ue di ultima generazione. Tuttavia bisogna

segnalare come in alcuni casi questi spazi vengono letti come elementi “estranei”

al contesto in cui nascono e spesso come veri e propri attori del processo di

gentrifi cation che coinvolge Berlino. A tal proposito è necessario segnalare forme

di resistenza a questi insediamenti, in particolare nel biennio 2011-2012, tacciati

di essere né più né meno luoghi da “turisti”. La retorica conservatrice del

governo Merkel sul Sozial Turismus ha tuttavia spuntato questa argomentazione,

rendendone evidente la portata fondamentalmente conservatrice e reazionaria.

Il fenomeno dei “migranti Ue” è stato così ampio sul piano quantitativo, profondo

su quello qualitativo e rapido nei tempi che ha costruito corto circuiti nella

lettura del fenomeno. Le campagne xenofobe fatte da segmenti della destra

tedesca contro gli Ausländer hanno sgomberato il campo da dubbi e ambiguità

sulla diff erenza sostanziale tra un migrante e un turista; il che non esclude che

entrambi possano essere attori consapevoli o meno della gentrifi cation che interessa

Berlino in modo violento.

Il termine condivisione assume per i migranti l’importanza di un vero e proprio

orizzonte culturale e politico. Ciò è dovuto fondamentalmente alla necessità di

autodifesa e alla possibilità di riconoscere e supportare chi condivide la propria

condizione materiale di migrante.

Moltissime sono a Berlino le forme di condivisione; queste riguardano gli aspetti

più disparati della vita quotidiana: dal cibo, alla casa, al lavoro. La condivisione

di porzioni più o meno grandi di reddito si muove quindi sulla linea di faglia

tra un istinto di aggregazione per autodifesa e una forma di riconoscimento

come soggettività sociale reale. Questi strumenti risultano effi caci per sottrarre

il singolo ai dispositivi di controllo sociale: dal sistema di workfare allo strapotere

delle agenzie immobiliari. I migranti hanno trovato a Berlino pratiche effi –

caci, peculiari del tessuto cittadino da decenni; esempi di queste pratiche sono

le Wg (case comuni), la Tafel (un sistema di recupero e redistribuzione del cibo

dalla grande distribuzione), laboratori di coworking, cene popolari per sostenere

singoli in diffi coltà, e così via. Sono pratiche di condivisione spesso utilizzate

e codifi cate nell’ambiente dell’autorganizzazione berlinese, ma non solo; con il

passare del tempo sono diventate patrimonio della maggior parte dei berlinesi,

non necessariamente limitate quindi ad aree politicamente più attive o radicali.

Lo sharing, tuttavia, nel momento in cui subisce – con la diff usione – una progressiva

depoliticizzazione, si trasforma in semplice “buona pratica”. Con ciò

intendiamo una pratica che viene valutata esclusivamente per la propria efficacia, spogliata di tutte le implicazioni e le motivazioni politiche che porta con sé.

Da questa buona pratica si arriva al tema della new economy e della “città

delle startup”. Negli ultimi cinque anni infatti Berlino è diventata la Silicon Valley

dell’economia dello sharing e delle startup. Per una serie di fattori oggettivi

(regime fi scale particolarmente favorevole, basso costo del lavoro immateriale)

ma anche per una predisposizione sociale alla condivisione, le nuove forme di

capitalismo si sono concentrate nella capitale tedesca: circa il 75% delle startup

di tutta Europa ha attualmente sede a Berlino.

ESPERIENZE DI LOTTE SUL LAVORO

Negli ultimi cinque anni, con l’aumentare dell’immigrazione e l’infi ttirsi

delle dinamiche di autorganizzazione, le lotte sul lavoro nella capitale

tedesca hanno iniziato ad aumentare in termini di frequenza e qualità.

Si sono svolte lotte sul lavoro che di frequente hanno visto per protagonisti

migranti comunitari.

La prima in ordine cronologico è stata quella dei migranti anglofoni del sistema

degli ostelli; lavoratori a cui veniva garantito un posto letto in camerata piuttosto

che il salario. A questo si aggiungeva il classico corollario della precarietà:

mobbing, sfruttamento, demansionamento continuo e così via. Questa battaglia

ha coinvolto soprattutto migranti inglesi e irlandesi e ha portato a un risarcimento

per i lavoratori e alla condanna di uno dei proprietari di un ostello (l’Amadeus

Hostel). Dopo questa lotta c’è stata la già citata battaglia condotta dal

Gas spagnolo contro le aziende che off rivano servizi all’immigrazione.

A queste due lotte dal grande risalto mediatico è seguita rapidamente quella

degli italiani contro lo sfruttamento nella gastronomia. Rispetto a questa lotta,

che si dà anche in forma di campagna permanente (sportello informativo, assistenza

sindacale, osservatorio, forme di boicottaggio), vanno specifi cati degli

elementi: la gastronomia italiana a Berlino è il primo e unico luogo dove un

italiano che non conosce la lingua può trovare lavoro. Si parla di circa 4.000 attività.

Questo settore assomiglia ad un’enorme “giungla” senza diritti; facendosi

forza degli scarsi strumenti di controllo delle autorità per il lavoro berlinesi,

produce infatti sfruttamento, lavoro in nero e mobbing. Su questo specifi co settore

economico noi, come collettivo di attivisti italiani abbiamo deciso di intraprendere

un percorso di lotta che, muovendosi tra la diff usione di pratiche di

autodifesa e la costruzione di campagne mediatiche, punta al miglioramento

delle condizioni di lavoro e vita dei “nuovi migranti” italiani a Berlino. Malgrado

le leggi tedesche, come detto, non prevedano forme legittime di intervento

sui luoghi di lavoro al di fuori di quelle classicamente sindacali, le campagne si

sono fatte forza di strumenti “non convenzionali”. L’ultimo recente caso riguarda,

per esempio, il coinvolgimento di due gruppi musicali “militanti” italiani

per riuscire a strappare migliori condizioni lavorative nei ristoranti che sponsorizzavano

e producevano un loro concerto (nel particolare parliamo delle più151

grandi pizzerie italiane in città). I lavoratori,

con il nostro supporto, sono riusciti,

attraverso l’uso strumentale del concerto

e dei media, a denunciare una situazione

di lavoro nero, in realtà situazione diff usa

tra molti ristoranti italiani a Berlino.

Spontaneamente sono nate campagne di

boicottaggio e rapidamente, grazie anche

a un’opinione pubblica sensibile, i lavoratori

sono stati contrattualizzati. La vicenda

ha costretto molti datori di lavoro di

altre pizzerie e ristoranti a mettere in

regola i propri dipendenti. Oltre a risultati

sulle singole vertenze inoltre questo

uso “anomalo” di tutti gli strumenti possibili,

ortodossi o meno, ha prodotto una

strana forma di neosindacalismo metropolitano

basata sulla condivisione di una

condizione materiale e sulla possibilità di

condividere lotte ed esperienze esistenziali, informazioni, strategie ma anche

sul sostegno reciproco generalizzando lotte riproducibili in tutta la città.

Infi ne l’ennesima lotta che ha avuto grande risonanza è stata quella dei lavoratori

edili rumeni, assimilabili ai migranti “nella crisi” in quanto “nuovi cittadini

Ue” e conseguentemente arrivati a Berlino contemporaneamente a spagnoli e

italiani. Essi hanno lavorato alla costruzione di uno shopping center di lusso

(il Mall of Berlin); si tratta di lavoratori a cui veniva off erta una casa collettiva a

prezzi altissimi, occupati in modo illegale e senza alcuna tutela. In questo caso

particolare se un ruolo centrale ha svolto l’intervento del Fau bisogna segnalare

forme di pressione contro i lavoratori da parte di organizzazioni criminali

rumene al servizio dell’azienda tedesca che assumeva lavoratori direttamente

in Romania. Quest’ultima vertenza è ancora in campo e ha per adesso prodotto

la dichiarazione di fallimento dell’azienda interessata e un dibattito pubblico

sull’indirizzo che l’intera città sta prendendo rispetto ai negozi di lusso come il

Mall. Questa lotta ha aperto dibattiti che hanno per esempio visto la scena del

clubbing berlinese schierarsi con i lavoratori edili e contro i datori di lavoro, a

partire da una loro vicinanza nel promuovere un’idea alternativa di sviluppo

urbano.

Possiamo aff ermare quindi che queste lotte sul lavoro segnano diverse importanti

novità: capacità di colpire una singola azienda gettando luce su un intero

comparto economico; capacità di rendere manifesta e problematizzare la condizione

migrante, soggettivandola politicamente; costruzione di alleanze tra

lavoratori che utilizzano e sperimentano nuove forme di lotta e organizzazione;

manifestarsi di inedite e signifi cative alleanze sociali e politiche.

WELFARE, RAZZISMO, CONTROLLO DELLA MOBILITÀ

NUOVA FRONTIERA DEI CONFLITTI

Dopo aver tratteggiato un “soggetto migrante” articolato, apparentemente

dai tratti contraddittori, sicuramente un soggetto poliforme e moltitudinario,

accomunato sostanzialmente dal luogo di arrivo e dal mercato del

lavoro nel quale agisce; e avendo analizzato esempi di diverse forme di organizzazione

e aver segnalato le principali lotte sul lavoro migrante degli ultimi anni

nella capitale tedesca, l’ultimo elemento da segnalare per restituire un quadro il

più completo possibile è l’analisi delle reazioni che il mondo dell’economia e del

governo tedesco ha avuto rispetto all’ultimo fl usso migratorio.

Sebbene molti studi rilevino come la politica tedesca sull’immigrazione sia una

politica di incentivazione al working poor, la governance tedesca ha costruito una

retorica “da assedio” per confi nare la componente migrante al ruolo di riserva

economica funzionale all’abbassamento complessivo dei livelli salariali e dei

diritti. Per fare ciò il governo, come avviene anche in altri paesi in Europa (per

esempio Belgio e Gran Bretagna) non potendo attaccare direttamente i diritti dei

lavoratori, ha spostato il focus sul welfare, allargando il ricatto all’intera sfera

dei diritti di tutela sociale.

Questo attacco ai migranti Ue sull’Arbeitlosergeld I (sussidio di disoccupazione),

sull’Arbeitlosergeld II (sussidio contro la povertà) e sul Kindergeld (contributo

all’infanzia) ha avuto come “arieti” due partiti conservatori (Alternative

Für Deutschland e la Csu bavarese). Negli ultimi due anni questi partiti hanno

costruito una campagna contro i lavoratori bulgari e rumeni (nuovi cittadini

dell’Unione europea), velatamente razzista. La strumentalità di questa campagna

di terrorismo mediatico è stata dimostrata persino da un rapporto uffi ciale

sullo stato dell’immigrazione da Romania e Bulgaria. Il rapporto aff erma che

se eff ettivamente l’immigrazione è fortemente aumentata, tuttavia si attesta su

un livello comunque basso: i cittadini bulgari e rumeni sono infatti appena il

5% di tutti i migranti Ue presenti in Germania. Se a questo aggiungiamo una

recente sentenza della Corte europea, secondo la quale alla Germania è permesso

negare l’accesso al welfare agli immigrati alla ricerca del lavoro, possiamo

ben individuare come nell’ultimo anno il terreno di confl itto sia inevitabilmente

quello del welfare. Uno studio della Fondazione “Bertelsmann” e del Mannheimer

Zentrum, centro europeo per lo studio dell’economia (Zew), ha dimostrato

che l’immigrazione verso la Germania frutta alle casse della previdenza sociale

più di quanto costa, smentendo la retorica del turismo sociale. Le 6,6 milioni di

persone prive di passaporto tedesco avrebbero fruttato nel 2012 un’eccedenza

complessiva di 22 miliardi di euro. Ciò vuol dire che ciascuno straniero verserebbe

in media 3.300 euro all’anno in più rispetto a quanto riceve in termini di

prestazioni statali. L’eccedenza pro capite sarebbe aumentata di più della metà

negli ultimi 10 anni. Già nel 2004 le casse della previdenza sociale avrebbero

registrato un’eccedenza di 2.000 euro per straniero.

Tuttavia queste argomentazioni non hanno potuto evitare l’approvazione al

Bundestag il 28 novembre scorso di una modifi ca alla legge che vincolava l’erogazione

del welfare ai cittadini Ue che cercano lavoro solo per un massimo

di 6 mesi. Con questa legge il governo ha separato i migranti Ue dai cittadini

tedeschi per quanto riguarda welfare e lavoro.

Ma questo terreno a Berlino può rivelarsi (e la nascita di alleanze politiche testimonia

che già si sta rivelando) un terreno ricompositivo per i confl itti e le forme

organizzative dei migranti, una battaglia generale che superi il dispositivo

“comunitario”; infatti proprio il dispositivo “comunitario” risulta un effi cace

strumento di settorializzazione del mercato del lavoro nella metropoli berlinese.

Dispositivo che risulta utile solo a mantenere bassi i livelli salariali e a isolare

mediaticamente dall’opinione pubblica le lotte sul lavoro dei migranti.

CONCLUSIONI

Sebbene il fl usso migratorio verso la Germania durante la crisi economica

europea abbia avuto un’accelerazione negli ultimi cinque anni, i migranti

arrivano a Berlino non esclusivamente per motivi economici. I migranti

che si muovono verso la capitale tedesca infatti sono mossi in gran parte da

quelle crisi collaterali che hanno accompagnato quella economica nei loro rispettivi

paesi. Questo desiderio di miglioramento della qualità della vita in termini

anche politici e relazionali entra in confl itto con le politiche della mobilità e cioè

rispetto al regime del lavoro, dei salari e del welfare. In questo scontro tra forze

opposte si stanno producendo interessanti forme di sperimentazione organizzativa,

di mutualismo e cooperazione che precipitano in inediti confl itti sul lavoro.

A questo fa da corollario la defi nizione di “migrante per lavoro” (spesso ritradotta

correttamente anche con “migrante per povertà”) e turismo sociale che da

un lato defi nisce il migrante in termini esclusivamente utilitaristici rispetto alla

macchina produttiva tedesca e dall’altro attacca in modo discriminatorio una

soggettività sociale. Il terreno del reddito e del welfare sta diventando quello su

cui le diverse comunità migranti costruiscono alleanze su un terreno comune.

Proprio per questo i migranti interpretano oggi una soggettività desiderante e

resistente in evoluzione politica e sperimentazione continua, sempre più centrale

nella capitale tedesca.

Link utili:

https://www.soscisurvey.de/mondo-sottosopra/

http://www.minor-kontor.de/

https://retedonneberlinofiles.wordpress.com/2014/12/lana-informativa-sul-progetto-di-ricerca.pdf

http://jungleworld.com/artikel/2015/18/51873.html

https://www.facebook.com/Berlin15M

https://www.facebook.com/grupodeaccionsindical

http://oficinaprecariaberlin.org/

https://berlin.fau.org/strukturen/foreigners

https://www.facebook.com/mallofshame

<a href="http://scherer8.blogsport.de/basta-erwerbsloseninitiative-berlin/

http://berlinstartups.com/

http://www.siliconallee.com/